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Aspettando ancora la piattaforma per il Referendum Digitale

Scheda Elettorale

Immagine in evidenza: da Wikimedia

“La piattaforma garantisce il tuo diritto alla partecipazione democratica. Attenzione: La piattaforma è in fase di test. L’accesso al sistema è pertanto non consentito”. Questo è quanto si legge da mesi sul sito firmereferendum.gov.it, che avrebbe dovuto dare la possibilità a tutti i cittadini italiani di sottoscrivere un referendum o una iniziativa di legge popolare con firma digitale qualificata, ovvero a distanza, tramite SPID o CIE, senza recarsi di persona ai banchetti di raccolta firme.
“Avrebbe dovuto” perché così era indicato dalla legge 30 dicembre 2020, n. 178, disciplinato dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 9 settembre 2022 e infine reso operativo da un accordo esecutivo per l’acquisizione dei servizi per la realizzazione e conduzione della piattaforma “Referendum Digitale”, stipulato il 18 ottobre 2021 tra il Dipartimento per la trasformazione digitale e Sogei, la società informatica del Ministero dell’Economia.

Che fine ha fatto, allora, la piattaforma che l’allora Ministro per l’Innovazione Vittorio Colao aveva dato per “fatta” già diversi mesi fa? Guerre di Rete ha richiesto informazioni (con annesso sollecito, ndr) alla segreteria del sottosegretario per l’innovazione on. Butti e agli uffici stampa del Dipartimento per la trasformazione digitale e del Ministero della Giustizia ma non ha ricevuto risposta al momento della pubblicazione. Ricevuta invece, in tempi rapidi, quella dell’ufficio stampa Sogei, il quale però comunica di non essere autorizzato a dare informazioni su progetti che sta portando avanti per conto di terzi. In mancanza di aggiornamenti, non possiamo fare altro che ricostruire la storia di un servizio digitale pronto, gratuito e in netto ritardo sulla tabella di marcia.

La battaglia per allargare la possibilità di promuovere referendum

Molto di questa storia ha origine nel 2015, quando l’ex segretario dei radicali Mario Staderini, insieme a Michele De Lucia, decide di intraprendere un’azione giudiziaria denunciando all’Onu, da parte dell’Italia, una violazione del diritto dei cittadini a partecipare alla vita politica del Paese attraverso referendum e leggi di iniziativa popolare. “Nel nostro Paese – affermava Mario Staderini in un’intervista rilasciata a Radio Radicale – l’esercizio del diritto politico a promuovere referendum è molto limitato e in molti casi negato. Da dieci anni i referendum sono esclusiva solo dei grandi partiti politici che possono vantare squadre di certificatori”.

Questo perché, commenta a Guerre di Rete Lorenzo Mineo, dell’Associazione Luca Coscioni, “organizzare la raccolta delle firme richiede una serie di formalità non banali che vanno dalla richiesta dello spazio ai Comuni per posizionare il banchetto di raccolta, all’autenticazione delle firme che, fino all’ampliamento della platea di soggetti autorizzati  avvenuta solo nel 2020, richiedeva la presenza al tavolo di certificatori come notai e consiglieri comunali”.

Una serie di formalità che, secondo Staderini e l’associazione Coscioni, andava a vantaggio dei grandi partiti politici che avevano la forza per organizzare raccolte firme di successo. “A oggi – ha dichiarato Staderini al Fatto Quotidiano – solo grandi partiti e sindacati si possono “permettere” un referendum, perché sono gli unici ad avere autenticatori gratis a disposizione in tutta Italia. Sono la casta degli autenticatori”.

Dalla condanna per violazione del diritto dei cittadini alla piattaforma digitale pubblica

Nel novembre del 2019, come scrive Il Fatto Quotidiano, “nel silenzio generale l’Italia viene condannata dal Comitato dei diritti umani dell’Onu perché viola il diritto dei cittadini a partecipare alla vita politica del paese attraverso i referendum e le leggi di iniziativa popolare”.

“In assenza di una piattaforma pubblica per le firme digitali – dichiara Lorenzo Mineo – dobbiamo evidenziare come dal 2010 non ci siano stati referendum di iniziativa popolare, dal basso, ma solo promossi su iniziativa dei partiti, quindi tramite la proposta di consigli regionali oppure di maggioranze parlamentari. La condanna dell’ONU servì a far ampliare la platea dei certificatori e, successivamente, a far approvare la realizzazione della ormai famosa piattaforma digitale pubblica per la sottoscrizione dei referendum”.

“Nel frattempo – prosegue Mineo – come Associazione abbiamo promosso due iniziative referendarie tramite la realizzazione di una piattaforma privata che ha richiesto uno sforzo economico importante per l’autenticazione tramite SPID e CIE: si pensi che tra eutanasia e cannabis, la parte di firme raccolte digitalmente sono state quasi 900mila, con un costo pari a circa un euro a firma. L’opzione di raccogliere firme tramite piattaforme digitali private è stata resa possibile grazie a un emendamento concordato da Staderini e Marco Gentili con il Ministro Colao e presentato da Riccardo Magi e approvato nel luglio 2021. Una possibilità soltanto transitoria finché non sarà in funzione la piattaforma pubblica e gratuita. Senza quest’ultima è evidente che si disincentiva l’applicazione della democrazia diretta”, conclude Mineo. “Con i costi previsti, difficilmente un comitato promotore avrà interesse a promuovere referendum, tanto più se c’è incertezza sull’esito, come si è visto con la decisione della Corte Costituzionale nel 2022 sui referendum eutanasia e cannabis dopo la raccolta firme”.

La piattaforma pubblica viene affidata a Sogei da parte del Dipartimento per la trasformazione digitale con un accordo esecutivo per un “valore pari ad € 163.835,00 oltre IVA e durata a decorrere dalla data di sottoscrizione e fino al 30 ottobre 2022, per le attività e secondo i termini e le modalità dettagliati nell’ambito dell’accordo esecutivo medesimo e suoi allegati”.

L’interpellanza di marzo sul ritardo della piattaforma

Tutto sembrava funzionare e poi qualcosa è andato storto, tanto da portare l’on. Riccardo Magi, gruppo misto + Europa, e l’on. Carmela Auriemma, Movimento 5 stelle, a presentare una interpellanza il 17 marzo 2023. In questa gli interpellanti ripercorrono l’iter della piattaforma e l’emanazione definita “tardiva”, nel settembre 2022, del decreto che doveva stabilire le caratteristiche della stessa. Poi si afferma come la stessa piattaforma, www.firmereferendum.gov.it, avrebbe dovuto permettere a tutti i cittadini dotati solo di identità digitale di sottoscrivere le proposte di referendum o di legge di iniziativa popolare. E tuttavia si sottolinea come tale piattaforma non fosse “ancora operativa e, quindi, abbiamo un ritardo di più di un anno rispetto ai termini prescritti dalla norma

Il passaggio dell’interpellanza

La legge n. 178 del 2020 – esordisce l’on Magi – poi, successivamente modificata, ha previsto, all’articolo 1, comma 341, l’istituzione di un apposito fondo, la cui dotazione è stata determinata in 100.000 euro annui, a decorrere dal 2021, ai sensi del successivo comma, destinato alla realizzazione di una piattaforma per la raccolta digitale delle firme degli elettori necessarie per i referendum previsti dagli articoli 75 e 138 della Costituzione, nonché per i progetti di legge di iniziativa popolare di cui all’articolo 71 della Costituzione. La medesima legge ha impegnato la Presidenza del Consiglio, entro il 31 dicembre 2021, ad assicurare l’entrata in funzione di questa piattaforma. Con un proprio decreto, adottato di concerto con il Ministero della Giustizia, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, si sarebbero dovute definire le caratteristiche tecniche, l’architettura generale, i requisiti di sicurezza e le modalità di funzionamento della stessa piattaforma, nonché le modalità con cui i promotori delle proposte mettono a disposizione dell’Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di Cassazione, nella stessa data in cui effettuano il deposito di eventuali firme autografe riferite alla medesima proposta, le firme raccolte elettronicamente. Ora, effettivamente, in data 9 settembre 2022, anche a seguito di un altro atto di sindacato ispettivo avanzato dal sottoscritto interpellante, il decreto di cui sopra, ossia il decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri, recante: “Disciplina della piattaforma per la raccolta delle firme necessarie per i referendum previsti dagli articoli 75 e 138 della Costituzione” è stato tardivamente emanato e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 26 novembre 2022.
Con riferimento alle modalità di accesso alla piattaforma, nella risposta fornita alla precedente interpellanza urgente, la n. 2-01431, in data 4 marzo 2022, il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio delegato a rispondere ha chiarito che l’accesso sarebbe stato consentito tramite l’interfaccia web www.firmereferendum.gov.it per tutti i cittadini dotati di identità digitale e registrati nell’anagrafe pubblica dei residenti e che, pertanto, per sottoscrivere le proposte di referendum o di legge di iniziativa popolare non sarebbe stato necessario il possesso della firma digitale, ma esclusivamente dell’identità digitale. La piattaforma, tuttavia, ad oggi, non risulta ancora operativa e, quindi, abbiamo un ritardo di più di un anno rispetto ai termini prescritti dalla norma”.

A rispondere ai chiarimenti chiesti dall’interpellanza di Magi, era Wanda Ferro, Sottosegretaria di Stato per l’Interno, che precisava due cose: gli adeguamenti tecnici avrebbero impiegato 4-5 mesi; a prendersi in carico la piattaforma sarebbe stato il Ministero della Giustizia.
Così le parole di Ferro: “è stato necessario effettuare alcuni adeguamenti alla prima versione della piattaforma, in quanto il DPCM 9 settembre 2022 ha affidato al  Ministero della Giustizia e, in particolare, alla Corte di Cassazione, nell’ambito delle proprie competenze istituzionali, un ruolo operativo nel funzionamento della piattaforma.
Con riferimento alle previsioni sulla piena operatività della piattaforma, si rappresenta che (…)  la Presidenza del Consiglio dei ministri, da tempo, ha avviato le necessarie interlocuzioni con il Ministero della Giustizia, finalizzate a definire una collaborazione tesa a far sì che sia quest’ultimo a prendere in carico la gestione. (…). Con riferimento ai tempi richiesti per il rilascio, si rappresenta che gli adeguamenti tecnologici necessari richiedono circa 4-5 mesi”.

Da cinque mesi a dodici e oltre

Quattro o cinque mesi dal 17 marzo 2023 che sono diventati però 12 (per arrivare a un piano di lavoro che realizzi la piattaforma) nel question time al quale ha risposto il Ministro della Giustizia Carlo Nordio, rilanciato da Ansa e altri media il 17 maggio: “Entro 12 mesi ci sarà un piano di lavoro per arrivare alla realizzazione di una piattaforma digitale per la raccolta delle firme degli elettori per i referendum. Lo ha detto al question time il ministro della Giustizia Carlo Nordio assicurando che sarà garantita la conformità della piattaforma alle prescrizioni vigenti”.

Uno stillicidio che preoccupa le associazioni che si sono battute per la piattaforma. “Temo che questi continui rinvii – dichiara a Guerre di Rete Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, Presidente di Eumans, movimento paneuropeo di iniziativa popolare – siano il segnale chiaro di una mancata volontà politica di messa a disposizione di questo strumento di democrazia popolare. Questo Governo teme forse i referendum?”

Nel frattempo l’appello della stessa associazione per sbloccare la piattaforma Referendum Digitale punta a raggiungere le 60mila firme.