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L’industria dei microchip fa gola all’Europa e all’Italia

Fab 34 in Irlanda

Immagine in evidenza: Fab 34, Irlanda, credits: Intel

È come il romanzo di Charles Dickens, Racconto di due città. Da una parte l’Italia, che  sembra aver capito d’un tratto l’importanza degli investimenti nel settore dei semiconduttori e le Zone Economiche Speciali (Zes) per il Mezzogiorno – ovvero aree geografiche che offrono una serie di incentivi, agevolazioni e semplificazioni amministrative alle imprese che stabiliscano lì la propria sede. E dall’altro l’Irlanda, che ha incassato per più di sessant’anni il dividendo delle Zes e da più di trenta quello della produzione di semiconduttori. Due storie parallele che, almeno nelle aspirazioni della politica italiana, dovrebbero a un certo punto diventare convergenti. Ma non è chiaro con quali tempi.

Infatti, da un lato in Italia, lo scorso 3 novembre, è stata inaugurata dai ministri Giancarlo Giorgetti (ministro dell’Economia e delle Finanze), Adolfo Urso (ministro delle Imprese e del Made in Italy) e Anna Maria Bernini (ministra dell’Università e della Ricerca) la fondazione Chips.IT di Pavia, il Centro italiano per il design dei circuiti integrati a semiconduttore.

Nel frattempo, poche settimane prima, a Leixlip in Irlanda, Intel ha avviato la produzione di processori di ultima generazione basati su tecnologia EUV (Extreme Ultraviolet Lithography) nella nuovissima “Fab 34”, il terzo impianto presente nel polo irlandese che l’azienda californiana ha aperto nel 1989 e sul quale sinora ha investito più di 30 miliardi di euro, il più grande investimento privato mai effettuato nella storia dello Stato irlandese. L’obiettivo è produrre il prossimo chip “Meteor Lake” per computer portatili, che aprirà la strada all’integrazione dell’intelligenza artificiale nei PC.  Le macchine EUV, realizzate dal produttore olandese ASML, sono grandi come un autobus e costano circa 150 milioni di dollari ciascuna, scrive Reuters.

Ma torniamo a Pavia, dove i tre ministri e le autorità hanno inaugurato una fondazione il cui obiettivo è ambizioso e, secondo il ministro Urso, “strategico per il nostro Paese”: essere il centro italiano per il design dei circuiti integrati a semiconduttore. È difficile trovare maggiori informazioni, però, perché ancora non esiste un sito web dedicato, mentre l’indirizzo Chips.IT è già registrato dalla società bolognese per la raccolta pubblicitaria Publinord e consiste di un’unica pagina segnaposto che tratta di tutt’altro.  Le aziende interessate a potenziali collaborazioni con la fondazione, secondo quanto detto dagli stessi ministri durante l’inaugurazione, comprenderebbero tra le altre “Analog Devices, Infineon, Intel, Inventvm, Nxp, Psmc, Sony, e STMicroelectronics”.

La strategia irlandese

In Irlanda, all’inaugurazione della Fab 34, erano presenti, oltre al ceo di Intel, Pat Gelsinger, il Taoiseach irlandese (cioè l’equivalente del primo ministro) Leo Varadkar e la commissaria europea per la stabilità finanziaria Mairead McGuinness, che è compagna di partito di Varadkar nel Fine Gael. Per la realizzazione della Fab 34 Intel ha investito 7 miliardi di dollari, ha fatto lavorare circa 150 aziende locali e ha cercato delle soluzioni più avanzate per azzerare l’impatto ambientale della produzione di microprocessori (soprattutto per la bonifica delle acque reflue e il consumo elettrico).

La Fab 34 è un pezzo di una strategia molto più complessa e ampia, che riguarda l’Europa e forse l’Italia. E che dipende dall’evoluzione della politica mondiale e dal mercato planetario dei semiconduttori, attualmente fortemente sbilanciato a favore della produzione in Asia, dove però ci sono molte instabilità potenziali di tipo geopolitico (tra cui quella più evidente è il rapporto tra Cina continentale e isola di Taiwan). Intel, che ha avviato con Gelsinger un piano di rilancio dopo un periodo di crisi negli ultimi dieci anni, sta investendo 17 miliardi di euro in Europa, cercando di ribilanciare la produzione di microchip che oggi avviene all’80% in Cina. Oltre al polo di Leixlip Intel ha anche avviato le lavorazioni complementari nella fabbrica di Magdeburgo, in Germania (dove vengono lavorati i wafer in silicio, poi “stampati” in Irlanda) e Breslavia, in Polonia, dove verranno assemblati e testati i prodotti finali.

La fondazione Chips.IT è invece pensata per fare da laboratorio in una regione, la Lombardia, che vede la maggior concentrazione di aziende tech straniere sia asiatiche che europee e statunitensi, anche se presenti soprattutto con uffici commerciali e quasi mai con centri di ricerca e sviluppo. 

Nel parallelo tra l’Irlanda e l’Italia, in questo settore gioca un ruolo fondamentale l’attrattiva economica. L’Irlanda ha aperto a Shannon, nel 1959, la prima zona economica speciale in Europa (e una delle primissime al mondo) per azzerare le tasse alle aziende che avessero deciso di investire in quel Paese, all’epoca il più povero d’Europa. È stata una scelta che ha prodotto risultati ottimi per gli indicatori socio-economici irlandesi, tra cui la riduzione a tassi fisiologici dell’emigrazione e il ritorno di moltissimi cervelli in fuga oltre all’arrivo di immigrati con qualificazioni di alto livello, secondo quanto dichiarato da Varadkar durante l’inaugurazione. “Intel è venuta in Irlanda nel 1989 – ha detto Varadkar – quando ogni anno più di 70mila persone, il 2% della popolazione, lasciavano il Paese per cercare lavoro all’estero. Oggi non solo gli irlandesi non vanno più via, ma vengono moltissime persone da tutta Europa e da tutto il mondo. Cercano un’opportunità qui”.

Un aspetto fondamentale è stato quello degli incentivi fiscali alla produzione e commercio. Una ricetta che è considerata strutturale all’attuale funzionamento della produzione in tutto il mondo. Oggi infatti, secondo una ricerca di PwC e Svimez, nel mondo esistono quasi 4.500 Zone Economiche Speciali e le imprese in queste aree danno lavoro in maniera diretta a circa 40 milioni di persone, producendo un export annuale che vale più o meno 200 miliardi di dollari.

Nel tempo l’Irlanda ha investito molto per diventare un Paese non solo attrattivo dal punto di vista fiscale, ma anche per creare l’ecosistema di competenze attorno al quale le aziende che aprono le loro sedi possono fare riferimento: ad esempio, il progetto TechLifeIReland, costruito per facilitare l’immigrazione di persone con competenze in ambiti considerati strategici dalle strategie di sviluppo del Paese. 

In Irlanda sono infatti presenti alcune centinaia di aziende hi-tech o che usano la tecnologia come leva innovativa per il proprio business provenienti da tutto il mondo. Da Amazon e Adobe a Zalando e Zynga, con tutto quel che c’è nel mezzo. Sono presenti sia per motivi fiscali (ad esempio, il quartier generale europeo di Apple è a Cork dal 1980, cosicché l’azienda possa pagare le tasse per le vendite nell’Unione europea con un’aliquota più conveniente) sia per i vantaggi economici dal punto di vista produttivo, come le Fab di Intel.

La fondazione e l’industria dei semiconduttori in Italia

Lo scopo della fondazione di Pavia, che si rivolge quasi esclusivamente agli italiani, è quello di formare i futuri progettisti di circuiti integrati. Si trova geograficamente molto lontano dalla Zona economica speciale per il Mezzogiorno o “Zes unica”. La maggior parte delle persone che verranno formate probabilmente lavorerà all’estero o comunque per aziende straniere nel nord. In Italia è presente un solo campione nazionale, peraltro italo-francese, cioè STMicroelectronics, nato dalla fusione della francese Thomson Semiconducteurs e dell’italiana SGS Microelettronica. STM ha due centri di produzione nel territorio nazionale: ad Agrate Brianza, in provincia di Monza Brianza, e a Catania. 

C’è poi LFoundry, creata ad Avezzano, in Abruzzo, ma acquisita nel 2019 dalla cinese Wuxi Xichanweixin Semiconductor. LFoundry produce microchip e sensori d’immagine per il settore automotive. Con una scala simile c’è anche Vishay Semiconductor a ‌Borgaro Torinese, in Piemonte, sempre nel settore automotive. E poche altre, molto più piccole.

La Fondazione di Pavia sarà un “centro di competenza” che avrà un ruolo di coordinamento delle attività di ricerca e progettazione di microchip con soggetti sia pubblici che privati, mettendo loro a disposizione “attrezzature e software di ultima generazione”. Secondo il ministro Urso, si tratta di “una tappa fondamentale in una più ampia strategia nazionale nel settore dei semiconduttori, strategico per l’economia italiana sia in chiave nazionale sia in chiave geopolitica”.

Nel 2022 il governo Draghi aveva stanziato 4 miliardi di euro al 2030 in un fondo per la ricerca sui microprocessori. E il 7 agosto 2023 l’attuale Consiglio dei ministri ha approvato il cosiddetto Decreto Asset (Decreto Legge 104/2023), poi convertito in legge ad ottobre, che contiene disposizioni per l’avvio di un Chips Act italiano, sulla spinta di quello europeo, entrato in vigore a settembre, che vuole ridurre la dipendenza da chips e aumentare la produzione interna. Il Decreto Asset ha “istituito un credito d’imposta, pari a circa 700 milioni di euro fino al 2030, per attività ricerca e sviluppo nella microelettronica” mentre 30 milioni verranno stanziati dal MIUR nei prossimi 5 anni per lo sviluppo di una linea pilota italiana”, scrive Agenda Digitale.

L’Italia in attesa, e in forse, per un maxi investimento di Intel

L’Italia è in corsa da due anni per un maxi investimento da parte di Intel, che deve realizzare un nuovo impianto oltre a quelli già presenti in Europa, per ribilanciare la sua capacità produttiva e sfruttare le “eccellenze a basso costo” presenti nel mercato del lavoro europeo, più conveniente di quello statunitense dal punto di vista degli stipendi. L’Italia attualmente spera che l’investimento avvenga al sud, ma non è certo e comunque non si sa a quale punto siano i colloqui. 

Intel ha annunciato investimenti per 80 miliardi di dollari spalmati su 10 anni per la produzione di chip in Europa non solo per computer ma anche per il settore automobilistico. Come ha detto Gelsinger durante il Motor Show a Monaco di Baviera di quest’anno, “le automobili stanno diventando computer con le ruote, noi abbiamo bisogno di voi e voi di noi. L’obiettivo è creare un centro di innovazione in Europa, per l’Europa”. In prima fila, secondo le indiscrezioni, ci sono la Germania (dove devono essere realizzate altre due fabbriche di microchip) e poi forse Francia e Polonia.

Un potenziale sbarco in Italia di Intel, secondo quanto dichiarato nel tempo dall’azienda, porterebbe con sé un investimento da 4,5 miliardi di dollari e produrrebbe circa 1.500 posti di lavoro.

Il Chips Act e l’industria europea

Al di là degli investimenti di Intel in Italia e in Europa, dove sta sbarcando anche la taiwanese Tsmc, ci sono anche i piani continentali per lo sviluppo dell’industria, a partire dal Chips Act della Ue (di cui abbiamo scritto qua)

Cosa prevede il Chips Act europeo

I chip, noti anche come semiconduttori, sono la base di tutti i prodotti elettronici e sono essenziali per tutti i settori, inclusa l’industria automobilistica, lo spazio, la difesa. La recente carenza di chip a livello mondiale ha interrotto le catene di approvvigionamento, e causato colli di bottiglia nella produzione. Il regolamento dell’Ue, l’“European Chips Act“,  è stato proposto come parte di un più ampio pacchetto di misure per il rafforzamento di questa industria, ed è entrato in vigore il 21 settembre 2023.

Come evidenziato dalla stessa Commissione Ue, ha 5 obiettivi strategici:

  • rafforzare la ricerca e la leadership tecnologica
  • costruire e rafforzare la capacità dell’Europa di innovare nella progettazione e produzione di chip avanzati;
  • creare un quadro adeguato per aumentare la produzione entro il 2030;
  • affrontare la carenza di competenze e attrarre nuovi talenti;
  • sviluppare una comprensione approfondita delle catene di fornitura dei semiconduttori a livello mondiale.

L’obiettivo è quello di raddoppiare la quota Ue del mercato mondiale di semiconduttori, portandola dal 10% ad almeno il 20% entro il 2030.

Attualmente gli stabilimenti che producono semiconduttori si trovano soprattutto in Germania, ma ce ne sono anche in Francia, nei Paesi Bassi e in Irlanda. L’obiettivo è dare capacità industriale in un settore strategico con l’emergere di nuove tecnologie che utilizzano in maniera intensiva le risorse di calcolo, come l’addestramento e il funzionamento di sistemi di intelligenza artificiale.

Infatti, quello dei semiconduttori è un settore che cresce velocemente anche in Europa: secondo l’European Semiconductor Industry Association (ESIA), nel 2021 in Europa sono stati venduti semiconduttori per un valore complessivo di quasi 48 miliardi di dollari, il 27,3% in più rispetto al 2020, con una quota di mercato globale del settore dell’8,5%.

Il Chips Act della Commissione Europea porta con sé uno stanziamento di 43 miliardi di euro che mirano ad aumentare l’autonomia produttiva e puntano al traguardo del 20% della quota di mercato mondiale nel 2030. In tutto questo, nel racconto dickensiano di due città e due paesi diversi, il ruolo di Chips.IT è su una scala e con ambizioni completamente diverse da quelle messe in pista dal Governo irlandese e dai partner industriali che ha saputo attrarre. Un passo in un percorso più ampio dove siamo però fondamentalmente in ritardo.