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Negli ultimi anni c’è stata molta attenzione, da parte di media e ricercatori, nei confronti del complicato rapporto tra i social media e i loro utenti più giovani. Nel 2023 la massima autorità federale in materia sanitaria negli Usa, il Surgeon General Vivek Murthy, ci ha dedicato un advisory – ovvero una dichiarazione pubblica che richiama l’attenzione su un problema urgente di salute pubblica e fornisce raccomandazioni – intitolato “I social media e la salute mentale dei giovani”. Diciannove pagine dense di analisi, riflessioni e ricerche che descrivono in maniera dettagliata gli impatti negativi e positivi delle piattaforme sul benessere degli utenti di età compresa tra i 13 e i 17 anni. Malgrado il documento sottolinei fin dall’inizio che “non sono ancora state condotte solide analisi di sicurezza indipendenti sull’impatto dei social media sui giovani”, e che sia necessaria più ricerca al riguardo, accanto ai potenziali benefici, elenca anche alcuni potenziali effetti negativi, tra cui il fatto che “possano perpetuare l’insoddisfazione corporea, i comportamenti alimentari disordinati, il confronto sociale e la bassa autostima, soprattutto tra le ragazze adolescenti”, citando alcuni studi (pag 8 del documento).
Quello che però sembrerebbe essere passato in sordina è un paragrafo del documento del Surgeon General, dove si nota che i social media possono anche apportare benefici alla salute mentale di alcuni gruppi specifici di giovani, proponendo loro “una community positiva e una connessione con altre persone con cui condividono identità, abilità e interessi”, permettendogli così di coltivare nuove amicizie e/o creare legami sociali duraturi. In particolare, scrive il documento, “gli effetti di protezione dallo stress che il supporto sociale online dei coetanei può fornire può essere particolarmente importante per i giovani che sono spesso emarginati, tra cui le minoranze razziali, etniche, sessuali e di genere. Per esempio, alcuni studi hanno dimostrato che i social media possono favorire la salute mentale e il benessere di lesbiche, gay, bisessuali, asessuali e minoranze di genere, asessuali, transgender, queer, intersessuali e altri giovani, consentendo la connessione tra pari, lo sviluppo e la gestione dell’identità, e il supporto sociale”.
Anzi, vari studi sostengono che sono proprio queste relazioni a svolgere un importante ruolo di sostegno sociale per i giovani più emarginati. E ciò spiegherebbe perché negli ultimi anni i social media abbiano rappresentato uno strumento tanto importante per la comunità LGBTQ+, in Italia e nel mondo.
La sigla LGBTQIA+ include lesbiche, gay, bisessuali, transgender/transessuali, queer, intersessuali, asessuali e +, ossia altre categorie. LGBTQ è però ancora molto usato, anche nei report che abbiamo citato in questo articolo. La storia delle aggiunte a questa sigla (dalla iniziale LGB) è la storia della progressiva evoluzione del movimento per i diritti civili e il riconoscimento delle identità di genere e sessuali, come raccontato in questo articolo di National Geographic. “Una varietà di organizzazioni governative e accademiche, inclusa l’agenzia statunitense NIH (National Institutes of Health, Istituti Nazionali di Sanità), hanno recentemente adottato il termine “minoranza sessuale e di genere”, nel tentativo di essere ancora più inclusivi”.
Giovani LGBTQ+ e social media: una relazione importante
Le parole citate sopra del Surgeon General degli Stati Uniti hanno dunque evidenziato l’altra faccia di piattaforme come TikTok, Instagram, Facebook e YouTube, mostrandole come “spazi non fisici” in cui i giovani possono esprimersi liberamente, sperimentando la conoscenza di sé con largo anticipo rispetto alle generazioni precedenti. In questo senso, come suggerito da uno studio recente, i social media si stanno rivelando importanti per lo sviluppo dell’identità sessuale e di genere dei giovani LGBTQ+, che trovano nella comunità online quella comprensione e quel supporto di cui hanno bisogno per esplorare e comprendere la propria identità, e riuscire poi ad affrontare il “coming out” con serenità e piena consapevolezza di sé – un gesto che ha un impatto fortemente positivo sulla salute mentale dei più giovani.
Secondo una ricerca del Pew Research Center sugli adolescenti americani in generale, questi “sono più propensi a dire che le piattaforme hanno avuto un impatto prevalentemente positivo sulla loro vita rispetto a quella dei loro coetanei”. Non solo: “la maggioranza degli adolescenti riferisce di aver vissuto ognuna delle quattro esperienze positive richieste: sentirsi più connessi a ciò che accade nella vita dei loro amici (80%), avere un luogo in cui mostrare il proprio lato creativo (71%), avere persone che li sostengono nei momenti difficili (67%) e essere più accettati (58%)”.
Le comunità italiane e la preferenza verso cerchie ristrette
“L’idea dei social network come luoghi inclusivi e più sicuri per la comunità LGBTQIA+ è molto diffusa anche in Italia, dove soprattutto la fascia d’età 18-29 spesso ha trovato – e trova – un senso di comunità che può mancare nella vita reale. Su Internet, infatti, passano informazioni, notizie e rivendicazioni che non sempre si riescono a portare nella vita quotidiana offline. Questo spesso significa riuscire ad accedere a risorse importanti per l’autonomia individuale e a strumenti di sostegno per la salute fisica e mentale”, commenta a Guerre di Rete Natascia Maesi, giornalista e presidente di Arcigay, che sottolinea come i giovani queer scelgano attentamente le persone con cui interagire sulle piattaforme.
Non percependo o trovando sempre un adeguato supporto all’interno della famiglia o nella cerchia di amici, gli adolescenti LGBTQ+ spesso si rivolgono alle piattaforme per esplorare la propria identità sessuale e di genere, prendendo ispirazione dalle storie altrui e trovando così il coraggio non solo di accettare chi sono, ma anche di farlo sapere agli altri. “Dal confronto con le persone attiviste di Arcigay Giovani, la realtà che riunisce le persone queer che hanno meno di 29 anni, è emerso che molte persone spesso fanno coming out prima sui social media, dove è possibile costruirsi bolle nelle quali sentirsi protette. Non sempre però c’è una correlazione tra il coming out online e quello nella cerchia delle frequentazioni quotidiane”, dichiara Maesi, confermando l’idea che i social media siano la “safe area” dei giovani LGBTQ+. Uno spazio inclusivo in grado di accogliere ogni minoranza che ci spiega bene il perché le persone queer tendano a trascorrere più tempo online rispetto ai ragazzi e alle ragazze non LGBTQ+.
Spazi dove le persone queer si raccontano direttamente
A raccontare come le piattaforme possano rivelarsi un luogo inclusivo, sicuro e di supporto per i giovani alla ricerca della propria identità sessuale di genere è Francesco Cicconetti – @mehths sui social -, che si definisce “personaggio pubblico/content creator/divulgatore”. Autore del romanzo Scheletro femmina, in cui ripercorre la sua vita sin dall’infanzia, Cicconetti è diventato un importante punto di riferimento per la comunità LGBTQ+ dopo aver raccontato il suo percorso di transizione di genere sui social. “Quando nel 2017 ho iniziato per la prima volta a usare i pronomi maschili con le poche migliaia di persone che mi seguivano, l’ho fatto senza alcuna volontà di trasformare la mia identità̀ in una community; senza la pretesa di diventare un punto di riferimento, o un esempio, o una persona da seguire o a cui volere bene; senza la pretesa di lasciare in qualche modo il segno – commenta a Guerre di Rete Cicconetti -. Avevo capito da più di un anno di essere un ragazzo trans e quei nuovi pronomi erano solo il mio modo di essere autentico. Le persone però, giustamente, erano curiose. Dico ‘giustamente’ perché di informazioni sulle persone transgender ne abbiamo sempre avute poche e frammentate, raccontate da altri – da persone cisgender, per la precisione – in maniera stereotipata e spesso dannosa. Perciò il mio piccolo pubblico ha iniziato a ingurgitare le mie risposte e allargarsi sempre più, fino a diventare quello che è oggi. In questi 6 anni, le persone che mi seguono mi hanno visto cambiare esteticamente e nel modo di espormi, accompagnandomi nel mio percorso di affermazione di genere; hanno avuto, in un certo senso, un posto in prima fila per assistere a tutto questo”.
Condividendo un percorso estremamente personale con i suoi follower, e costruendo un rapporto empatico con la sua community, Cicconetti – così come molti altri creator che da tempo trattano argomenti simili – ha permesso a un tema delicato come quello della transgenerità di ricevere la giusta attenzione, mediatica e non, portando così l’opinione pubblica a riflettere sulla necessità di costruire la società del futuro sui valori di rispetto e inclusività. “Il mio profilo è stato più volte definito un punto di riferimento per la comunità trans e, anche se oggi mi sto allontanando dalla divulgazione online per spostarmi sulla formazione offline, questa rimane una delle mie più grandi soddisfazioni personali. So che le persone, sul mio profilo, avranno sempre a disposizione una rappresentazione autentica di quello che una persona trans è. Il che può sembrare una cosa banale. Eppure, banale non è, in un mondo che ci ha sempre raccontati come persone dalla vita disgraziata o eroi motivatori e mai come persone comuni quali siamo, amalgamate nel mondo. La cosa che mi colpisce ogni volta è che molti ragazzi trans, specie se molto giovani, si confidano con me. Lo spazio online è per molti di loro l’unico sicuro, l’unico in cui possano sentirsi capiti o ascoltati, l’unico in cui si vedano rappresentati”.
A differenza dei media tradizionali, infatti, le piattaforme social riescono a restituire uno sguardo più veritiero sulla community LGBTQ+, grazie soprattutto all’impegno dei suoi protagonisti, che riescono a portare all’attenzione altrui un punto di vista interno alla comunità. “Io stesso, per esempio, non guardo più la televisione, né leggo i quotidiani, ma mi informo principalmente online, in particolare tramite altri creator che seguo”, commenta Francesco. “So che in loro troverò lo sguardo a 360 gradi che nei prodotti offline non c’è mai stato, perché gli spazi sono da sempre occupati dagli stessi gruppi di persone, che quindi propongono sempre lo stesso punto di vista”.
Dagli hashtag a un impatto sociale
Questo ruolo positivo degli spazi online ha degli effetti anche nel mondo fisico.
“Dagli hashtag che fanno tendenza in tutto il mondo alle campagne di base che portano a cambiamenti tangibili, i movimenti LGBTQ+ sui social media hanno trasceso il regno digitale per lasciare un impatto duraturo sulla società”, scrive LGBTQ Nation. Inclusa TikTok (accusata però anche di non gestire in modo appropriato i dati relativi) dove nel corso degli ultimi anni sono cresciute le visualizzazioni dei video contrassegnati dagli hashtag queer. Tra questi, #PronounsMatter sembra essere stato uno dei più iconici del 2023: alimentando in tutto il mondo conversazioni sul rispetto dell’identità di genere. Allo stesso modo, l’hashtag #TransRightsAreHumanRights ha attirato l’attenzione sulle grandi conquiste delle persone transgender in termini di diritti, aiutando a combattere la discriminazione e a promuovere l’inclusività. Non si è trattato solo di social trend, quanto piuttosto di azioni vere e proprie, che hanno avuto un impatto positivo sulla salute mentale di ragazzi e ragazze. Lo sostiene il rapporto rilasciato nel 2023 da The Trevor Project – un’organizzazione statunitense che si occupa del benessere degli adolescenti queer, che scrive: “sentirsi sicuri e compresi in almeno uno spazio online è associato a un minor rischio di suicidio nell’ultimo anno e a tassi più bassi di ansia per tutti i giovani LGBTQ, e in particolare per i giovani LGBTQ di colore”.
Il rischio di attacchi online e il ruolo delle piattaforme
Ma non esiste solo questo aspetto. “I nostri figli sono diventati partecipanti inconsapevoli di un esperimento che dura da decenni”, scrive anche il dottor Vivek Murthy, il già citato Surgeon General degli Stati Uniti. Le piattaforme possono rappresentare anche un luogo a rischio, rendendo alcuni giovani dei bersagli facili per atti di bullismo o messaggi d’odio, e danneggiando la salute mentale in un momento incredibilmente delicato della loro vita, quello dello sviluppo cerebrale. “All’inizio dell’adolescenza, quando si formano l’identità e il senso di autostima, lo sviluppo cerebrale è particolarmente suscettibile alle pressioni sociali, alle opinioni dei coetanei e al confronto con loro”, si legge nel suo advisory.
“Le giovani persone queer sono vittime prevalenti dei fenomeni di cyberbullismo perché su di loro agiscono stereotipi e pregiudizi molto resistenti”, commenta ancora Maesi. “Il livello di accettazione delle identità LGBTQIA+ in Italia è ancora molto basso: basti pensare che secondo ILGA Europe l’Italia è 34esima su 49 paesi dell’Europa geografica per accettazione e inclusione delle persone queer e ha il triste primato di essere il Paese più transfobico, cioè con il maggior numero di suicidi e omicidi di persone trans. I passi avanti fatti negli ultimi anni spesso riguardano le fasce più privilegiate della comunità”.
Non solo. Negli ultimi anni i social network sono diventati luoghi meno sicuri. “Profili fake, troll e persone sostenitrici delle destre più conservatrici hanno cominciato a prendere di mira anche in rete sia le associazioni che le singole persone, a prescindere dall’eventuale seguito o risonanza mediatica. Per questo motivo spesso le giovani persone queer scelgono di utilizzare i social per interagire con cerchie già conosciute, limitando l’accesso ai propri profili per ridurre al minimo le possibilità di subire un’aggressione online”, sottolinea Maesi.
Le piattaforme non sono così inclusive come sembrano, anche a causa della mancanza di procedure e risorse adeguate per garantire la tutela degli utenti. Non a caso, un rapporto dello scorso giugno di GLAAD – una delle più grandi organizzazioni mondiali di difesa dei diritti LGBTQ+ – ha rilevato che i cinque social più utilizzati al mondo (Facebook, Instagram, TikTok, YouTube e Twitter) non riescono ancora a proteggere i membri della comunità LGBTQ+ dagli episodi di molestie e di incitamento all’odio, né a garantire la giusta trasparenza sull’uso che fanno dei dati personali di queste persone.
In particolare, dopo l’acquisizione da parte di Elon Musk, sembra essere X – ex Twitter – la piattaforma dove gli utenti queer di ogni età vengono attaccati pesantemente da account omofobi e/o razzisti. Secondo un precedente rapporto rilasciato da Media Matters e GLAAD, da quando il CEO di Tesla è diventato proprietario della piattaforma, “la retorica anti-LGBTQ è aumentata sulla piattaforma”, così come i retweet di insulti da parte di alcuni degli account anti-LGBTQ+ più prominenti. Il rapporto ricorda anche lo smantellamento del Trust and Safety team di Twitter, insieme ad altre modifiche che hanno contribuito a rendere la piattaforma più ostile per le persone queer: ad aprile del 2023, per esempio, Twitter ha rimosso una clausola che proibiva il misgendering (l’atto di riferirsi a una persona transgender utilizzando una terminologia riferita al suo sesso biologico e non alla sua identità di genere) e il deadnaming (ossia riferirsi a una persona transgender utilizzando il nome e il genere precedenti al suo cambio di identità).
“La decisione di Twitter di annullare segretamente la sua politica di lunga data è l’ultimo esempio di quanto sia pericolosa l’azienda sia per gli utenti che per gli inserzionisti. Questa decisione di ridurre la sicurezza LGBTQ allontana ancora di più Twitter da TikTok, Pinterest e Meta, che mantengono politiche simili per proteggere i propri utenti transgender in un momento in cui la retorica anti-transgender online sta portando alla discriminazione e alla violenza nel mondo reale”, aveva commentato Sarah Kate Ellis, presidente di GLAAD.
Ma X non sembra essere la sola piattaforma ad avere problemi con la sicurezza degli utenti queer. Di recente anche Meta, società madre di Facebook e Instagram, è stata bersagliata dalle critiche per aver messo a rischio questa comunità in Medio Oriente e del Nordafrica. A rivelarlo è il rapporto “All This Terror Because of a Photo”, curato dall’organizzazione internazionale per i diritti umani Human Rights Watch, che ha portato alla luce come la polizia locale faccia uso dei social media per “incastrare e molestare le persone LGBT, nonché per raccogliere e creare prove per perseguirle”, senza che le piattaforme le impediscano di farlo. Un’azione gravissima, che ha avuto conseguenze molto pesanti sul benessere fisico e psicologico dei membri della comunità, costretti a subire “molestie, outing imposto, doxxing, perdita del posto di lavoro” e, in alcuni casi, addirittura la “perdita della propria casa o perfino del proprio paese”.