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C’è un aspetto dell’esperienza del combattimento bellico che, durante l’invasione dell’Ucraina, è andato via via riducendosi: le ferite d’arma da fuoco. Quella che a lungo è stata la principale causa di morte per i soldati impiegati in guerra ha lasciato spazio a un altro genere di lesione, oggi dominante: le ferite da schegge e frammenti.
A determinare questo cambiamento è stata la novità tecnologica più rilevante emersa dal conflitto: il massiccio impiego di droni aerei, e in particolare la diffusione degli apparecchi FPV (first-person view: visione in soggettiva). Per la loro natura di armi di precisione di massa, questi sistemi stanno cambiando profondamente il soccorso e il trattamento dei traumi da guerra.
Come i droni hanno cambiato la fanteria
In un video pubblicato sul suo canale YouTube, Civ Div – un blogger militare statunitense con un passato nel corpo dei marine degli Stati Uniti ed esperienza di combattimento in Siria e Ucraina (con le forze speciali) – descrive la realtà vissuta dalla fanteria moderna come un incubo tattico, di cui i droni sono la causa principale.
Per un fante impiegato in prima linea, la presenza continua di questi dispositivi altera radicalmente la percezione dello spazio. Per lungo tempo, infatti, la fanteria ha operato in ambienti essenzialmente “bidimensionali”: trincee, tunnel, edifici, campi aperti. Qui il contatto col nemico avveniva lungo vettori orizzontali: di fronte, di lato o alle spalle.
I droni hanno introdotto una terza dimensione: oggi il pericolo può arrivare dall’alto e in qualsiasi momento. Questa possibilità genera un ulteriore carico cognitivo e costringe le forze armate di tutto il mondo ad adattarsi e rivedere l’addestramento, le tattiche e le dotazioni della fanteria.
Per rispondere a questa minaccia, gli eserciti hanno iniziato ad adottare diverse misure: sistemi elettronici portatili in grado di disturbare i segnali dei droni, difese a basso costo come reti, gabbie e coperture o altre contromisure fisiche. In alcuni contesti, sono anche impiegate armi leggere tradizionalmente non impiegate dalla fanteria, come i fucili a pompa: poco efficace negli scontri a fuoco contro avversari protetti da armature, questo tipo di arma si è rivelato più efficace di un fucile d’assalto per abbattere un drone in avvicinamento.
Aggiungere equipaggiamento difensivo significa però aumentare il peso da trasportare, riducendo la mobilità dei fanti sia in azione sia durante le rotazioni. Un paradosso tattico che altera la routine del combattimento.
La conseguenza immediata è che la maggior parte delle unità passa più tempo nascosta in rifugi sotterranei: buche, bunker e trincee coperte diventano infatti la protezione più efficace contro droni dotati di visori termici e della capacità di operare anche di notte, rendendo inefficaci i camuffamenti tradizionali come le tute o le reti mimetiche.
Più che una semplice innovazione, la comparsa e la diffusione di questo genere di dispositivi ha assunto i tratti di una vera e propria rivoluzione, il cui effetto non è stato limitato al modo di combattere della fanteria, ma ha avuto importanti ripercussioni anche sulla cosiddetta medicina tattica.
Che cos’è la medicina tattica?
Con il termine “medicina tattica” si indica l’assistenza medica fornita d’urgenza in contesti ostili e a rischio, come quelli militari o di polizia. Il suo obiettivo è salvare vite in situazioni di minaccia; compito che svolge basandosi su due principi chiave. Il primo è la golden hour, il periodo critico che segue il trauma e in cui un intervento tempestivo aumenta in modo significativo la probabilità di sopravvivenza dei feriti. Rapidità, coordinamento, cura sul campo ed evacuazione ne sono le leve fondamentali. Il secondo è il Tactical Combat Casualty Care (TCCC), un protocollo creato negli anni ’80 dall’esercito degli Stati Uniti per addestrare medici e paramedici a prestare soccorso sotto il fuoco nemico.
Organizzato in tre fasi – care under fire (soccorso durante l’azione), tactical field care (stabilizzazione del ferito), tactical evacuation care (assistenza durante l’evacuazione) – il protocollo TCCC comprende diverse azioni specifiche come il controllo delle emorragie, la gestione delle vie aeree e la decompressione del torace.
Fin dalla sua introduzione, il protocollo TCCC ha ridotto la mortalità. La comparsa dei droni ne sta però mettendo in discussione uno dei presupposti di base: l’esistenza di retrovie relativamente sicure e percorribili in tempi rapidi.
Come i droni hanno cancellato le retrovie sui campi di battaglia ucraini
Alla fine di agosto, sull’onda lunga del summit tra Trump e Putin avvenuto a ferragosto in Alaska, il presidente ucraino Zelensky ha respinto la proposta di istituire una “zona cuscinetto” tra il suo paese e la Russia, avanzata da alcuni leader europei come parte di un potenziale accordo di pace tra i due governi.
Secondo Zelensky, lungo la linea del fronte esiste già una zona cuscinetto che, di fatto, separa le forze armate del suo paese da quelle del paese invasore. A crearla sono stati i droni, ed è per questo motivo che il presidente ucraino la definisce “zona morta”. Tutto ciò che si muove al suo interno diventa un potenziale bersaglio per le centinaia di droni che la sorvegliano costantemente e il cui raggio d’azione è notevolmente aumentato nel corso del conflitto.
Limitato inizialmente a pochi chilometri di distanza, il raggio d’azione dei droni raggiunge oggi una media compresa tra 10 e 15 chilometri per i modelli controllati a distanza e una compresa tra 20 e 40 chilometri per quelli comandati attraverso bobine di cavi in fibra ottica.
Grazie all’estensione del loro raggio d’azione, i droni hanno aumentato la profondità della linea del fronte che, fino alla loro introduzione, era determinata dalla gittata delle artiglierie da campo come mortai, obici ed MLRS (Multiple Rocket Launch System, o sistemi lanciarazzi multipli, come i famosi HIMARS). La loro comparsa ha dunque cancellato le retrovie e trasformato in bersaglio tutto ciò che si muove da e verso la linea del fronte, ridisegnandone la logistica.
Quando l’artiglieria dominava il campo di battaglia, colpire un bersaglio in movimento significava prima di tutto individuarlo, poi calcolare le coordinate del tiro e, infine, eseguirlo con il corretto tempismo. Oggi, invece, i droni sono sempre in volo per sorvegliare gli spostamenti di personale e veicoli nemici, ma possono anche essere lasciati in stand by nei pressi di una via di rifornimento per essere attivati e colpirli al loro passaggio.
Come la medicina tattica si adatta alla presenza dei droni.
La scomparsa delle retrovie non solo obbliga le forze armate a modificare il modo di combattere, ma anche le modalità con cui vengono rifornite le posizioni più avanzate, ruotate le truppe o evacuati i feriti. Il trasporto dei feriti verso zone sicure, parte integrante del già citato TCCC, ora richiede più tempo e più adempimenti operativi, perché il percorso verso le retrovie si è allungato, trasformando in potenziale bersaglio chiunque abbia la necessità di attraversarlo.
In una testimonianza rilasciata al giornalista David Kirichenko, il colonnello Kostiantyn Humeniuk, chirurgo capo delle forze mediche ucraine, afferma che, in questo contesto, sono proprio i droni a causare il maggior numero di vittime nella fanteria (circa il 70% del totale nel corso del 2025, secondo stime ucraine).
Per adattarsi al cambiamento, le organizzazioni di medicina tattica – come il battaglione medico ucraino Hospitellers, a cui si deve l’introduzione in Ucraina di standard e pratiche mediche avanzate – hanno adottato numerose innovazioni tattiche e logistiche: l’allestimento a ridosso della linea di contatto di bunker chirurgici, dotati di strumenti per interventi di stabilizzazione rapida; l’uso di sistemi di guerra elettronica portatili per proteggere il personale impegnato sul campo; l’impiego, seppur limitato a causa della loro relativa affidabilità, di droni terrestri per estrarre feriti in sicurezza; e, in alcuni casi, l’integrazione di equipaggiamenti difensivi anche per il personale medico.
Trattare i feriti in bunker all’interno della “zona morta” è una misura pragmatica: igienicamente subottimale, ma spesso la sola scelta in grado di aumentare le probabilità di sopravvivenza. Resta però un problema (ampiamente segnalato dalla stampa): i medici e il personale sanitario sono essi stessi obiettivi degli attacchi russi, perché colpirli significa erodere capacità di cura e know-how formativo.
In assenza di mezzi corazzati sicuri per l’estrazione, le squadre mediche ricorrono a soluzioni di emergenza: più punti di primo soccorso, rotazione rapida delle postazioni e, ove possibile, difese elettroniche portatili.
Nuove sfide, vecchi obiettivi
Il dominio dei droni aerei a basso costo, ampiamente disponibili e impiegabili come arma, ha quindi mutato la tipologia di ferite e anche il processo necessario per curarle in modo efficace. Lo scopo di fondo della medicina tattica non è cambiato, ma questa fondamentale pratica clinica ha dovuto ampiamente adattarsi, mentre la golden hour – principio comunque ancora valido – è diventata sempre più difficile da rispettare.
A tutto questo la medicina tattica si adatta – con i bunker, le contromisure elettroniche e i droni terrestri – ma il cambiamento è strutturale: una guerra che si fa sempre più verticale trasforma la realtà della fanteria, le procedure di combattimento e le politiche di cura.
Preservare vite resta un imperativo strategico non negoziabile. Come insegna la storia recente, quando una forza armata espressione di un paese democratico perde la capacità di limitare morti e feriti, la tenuta morale e politica del paese di cui rappresentano gli interessi si incrina.