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Internet Archive rischia di scomparire (e con lui un pezzo di Rete)

Internet Archive - sede San Francisco

Immagine in evidenza: la sede dell’Internet Archive – San Francisco – via Evan Carroll

Nei mesi scorsi la biblioteca di internet – e con essa il futuro dell’accesso alla cultura online – è finita sul banco degli imputati. Nelle aule di un tribunale federale di New York si è svolto il primo round di un procedimento legale intentato da alcuni editori americani nei confronti di Internet Archive, la biblioteca digitale non profit fondata dall’informatico, attivista e archivista Brewster Kahle nel 1996 a San Francisco. Lo scontro è tra Davide e Golia, e rischia di definire per sempre il modo in cui la conoscenza è condivisa. 

Cosa è e cosa vuole Internet Archive

“Accesso universale alla conoscenza” è da 27 anni lo slogan di Internet Archive. L’organizzazione raccoglie e mette a disposizione di chiunque, gratuitamente, 37 milioni di libri, 16 milioni di file audio e molti altri contenuti nonché servizi come la Wayback machine, il più noto archivio di pagine Web. Una delle maggiori e più evidenti eredità culturali e intellettuali che gli esseri umani possano vantare per raccontare la loro storia. 

Internet Archive ha un programma, noto come Open Library, che permette agli utenti di “prendere in prestito” copie di libri fisici scansionate e digitalizzate dall’organizzazione. Copie digitali che non sono state acquistate in licenza come ebook, ma derivano appunto da scansioni di libri fisici acquistati o ricevuti come donazione.
A chi la accusava di violare il diritto d’autore, l’organizzazione ha più volte replicato che in realtà il suo programma di digitalizzazione di libri non è sinonimo di accesso indiscriminato per tutti. È fondamentale chiarire che il prestito di un volume digitale tramite Internet Archive, se è presente una sola copia, è consentito ad una sola persona alla volta. Si chiama prestito digitale controllato (CDL). Un sistema molto simile a quello operato da biblioteche tradizionali. Inoltre, prima di essere scansionato, il libro è stato comprato, con relativo pagamento dei diritti d’autore. Un servizio, quello della biblioteca digitale più grande al mondo, che ha lo scopo di favorire la conoscenza e di mantenere in circolazione libri o contenuti che per questioni editoriali, o di mercato, sono destinati a perdere visibilità.

“Si tratta di un sistema di prestito simile a quello dei libri stampati in cui la biblioteca presta una versione digitale di un libro di sua proprietà a un lettore alla volta, utilizzando le stesse protezioni tecniche che gli editori usano per impedire un’ulteriore ridistribuzione. La dottrina legale alla base di questo sistema è il fair use”, scriveva Internet Archive.

Come funziona in Italia il prestito digitale

In Italia le biblioteche scolastiche, pubbliche e accademiche aderenti al prestito digitale sono 7.000. La rete che le unisce è MLOL, acronimo di MediaLibraryOnline: nel suo catalogo sono compresi ebook dei maggiori editori italiani, un’edicola con quotidiani e periodici da tutto il mondo, ma anche audiolibri, musica e film. Oltre 2 milioni di oggetti digitali (manoscritti, mappe, spartiti musicali, risorse audio, video e di e-learning) sono invece compresi nel catalogo Open, anch’esse accessibili liberamente. Per prendere in prestito i contenuti di MLOL è sufficiente collegarsi al sito web, da qualsiasi postazione Internet, e chiedere l’accesso per un periodo di tempo prestabilito (dopo aver ottenuto le credenziali dalla biblioteca cui si è iscritti e aver verificato la disponibilità del contenuto). Con il prestito digitale non è necessario presentarsi in biblioteca fisicamente e le risorse di ogni struttura sono rese accessibili gratuitamente e liberamente in un grande collezione unica. Al momento MediaLibraryOnLine è presente nelle biblioteche di 20 Regioni italiane e in 16 Paesi stranieri.

Il Covid e il programma d’emergenza di Internet Archive

Ma poi ci si è messa di mezzo la pandemia. Nel marzo 2020, mentre si diffondevano paura, misure di isolamento e lockdown per il Covid, e mentre le scuole e le biblioteche chiudevano, Internet Archive lanciava la sua National Emergency Library – un programma d’emergenza con cui, in risposta a questo scenario, metteva a disposizione 1,4 milioni di libri digitalizzati senza però una lista d’attesa per gli utenti. Ciò significava che da quel momento più lettori potevano accedere a un libro digitale contemporaneamente, ma sempre prendendolo in prestito: il libro doveva essere restituito dopo 2 settimane e non poteva essere ridistribuito.

Scriveva l’Internet Archive nel 2020: “Ci è stato chiesto perché abbiamo sospeso le liste d’attesa. Il 17 marzo, il Consiglio direttivo dell’American Library Association ha preso una misura straordinaria, raccomandando la chiusura delle biblioteche nazionali in risposta all’epidemia di COVID-19. In questo modo, per la prima volta nella storia, l’intera collezione di libri stampati del Paese ospitata nelle biblioteche non è più disponibile, rinchiusa a tempo indeterminato dietro le porte chiuse. Si tratta di un’interruzione di servizio enorme e storica. (…) Per rispondere a questo bisogno senza precedenti, su una scala mai vista prima, abbiamo sospeso le liste d’attesa per la nostra collezione di libri in prestito”.

La causa intentata da alcuni editori

Ma queste parole non hanno intenerito alcuni grandi editori americani. Nel giugno 2020 Hachette, Penguin Random House, HarperCollins e John Wiley&Sons hanno intrapreso un’azione legale nei confronti della biblioteca digitale per violazione del copyright. Non solo: non hanno preso di mira solo l’iniziativa di emergenza legata al Covid, ma anche il principio del prestito digitale controllato (CDL). 

E dunque arriviamo fino al 20 marzo scorso, quando Internet Archive si è presentata in tribunale per testimoniare e spiegare la sua posizione nel processo Hachette v. Internet Archive, accompagnata anche dai difensori di Electronic Frontier Foundation (EFF), storica Ong americana per i diritti digitali.
“Le librerie hanno pagato agli editori miliardi di dollari per avere libri stampati e stanno investendo enormi risorse nella digitalizzazione per preservare quei testi”, spiega EFF in un blogpost in cui lo scorso anno condivideva alcune memorie sul caso. “Alle biblioteche non è mai stato chiesto di ottenere permessi o pagare costi aggiuntivi per prestare libri”, continua EFF. Per questa organizzazione (e per Internet Archive), il prestito digitale controllato rientra nel fair use, cioè in quella dottrina che limita il copyright a certe condizioni, ad esempio il fatto che l’utilizzo specifico di un’opera serva scopi non commerciali; se sia trasformativo, cioè se ne espande l’utilità; se danneggi o meno i titolari di diritti.

La decisione del giudice

Ma il 25 marzo scorso è arrivata la prima decisione del tribunale: almeno per ora, ha dato ragione agli editori. Per il giudice infatti qualsiasi “presunto beneficio” derivante dalla biblioteca di Internet Archive “non può superare il danno di mercato per gli editori”.  E sempre per il giudice sarebbe “irrilevante” il fatto che Internet Archive acquisti i libri prima di farne copie per il suo pubblico online. Secondo i dati ottenuti durante il processo, Internet Archive gestisce attualmente circa 70.000 prestiti di e-book al giorno, scrive The Verge.

Per arrivare a una decisione finale il giudice ha valutato se l’operato di Internet Archive fosse dunque considerabile sotto il cappello del fair use. Scondo questa interpretazione le opere protette da copyright possono essere rese accessibili se considerate un bene per il pubblico. Insieme a ciò il fair use prevede che l’editore non venga danneggiato dalla pubblicazione del contenuto protetto da copyright in accesso libero, e questo è direttamente proporzionale al numero di pagine rese accessibili. Infine, in questi casi si considera anche il potenziale “trasformativo” che il servizio di Internet Archive può apportare al contenuto protetto da copyright.

Come riporta The Verge, il giudice ha deciso che il danno al mercato degli editori sarebbe stato sicuramente maggiore rispetto ai vantaggi del servizio fornito da Internet Archive, citando un precedente caso che aveva coinvolto Google Libri e l’editore HathiTrust nel 2014. In quel caso Google Libri non ha violato il copyright poiché ha creato un database consultabile di libri (e dei loro contenuti), che però come sappiamo non fornisce il contenuto completo ma una panoramica. Il giudice ha anche aggiunto come non ci siano prove dirette che dimostrino un aumento delle vendite degli editori nel momento in cui i loro libri sono disponibili su Internet Archive.

“La decisione del tribunale è un duro colpo per tutte le biblioteche e la comunità. Ma non è finita: continueremo a lottare per il diritto a possedere, prestare e conservare libri”, ha dichiarato Internet Archive. L’appello nei confronti della decisione è scontato, e sarà depositato nei prossimi giorni dai legali dell’organizzazione. 

“Le librerie e le biblioteche sono più di un catalogo di prodotti per una società. Affinché la democrazia prosperi su scala globale, devono essere in grado di sostenere il loro ruolo storico nella società: possedere, conservare e prestare libri”, ha aggiunto il fondatore dell’organizzazione Brewster Kahle. 

Gli appelli e le iniziative a sostegno di Internet Archive

Intanto un altro gruppo in difesa di Internet e dei diritti digitali, Fight for the Future, ha lanciato una campagna online a sostegno di Internet Archive e del prestito digitale. Battle for Libraries è una petizione che ha raccolto già 25.000 firme e che si è trascinata al seguito anche Authors for Libraries, un’iniziativa sostenuta da più di 300 scrittori e scrittrici statunitensi e non solo. Dopo un primo momento di silenzio sul tema, autori del calibro di Neil Gaiman, Alok Menon e Naomi Klein hanno pubblicato una lettera aperta con la quale hanno chiesto di riconoscere il diritto delle biblioteche di possedere, conservare e prestare libri indipendentemente dal formato, nonché di porre fine alle cause intimidatorie e alle campagne diffamatorie contro queste ultime. Agli autori si sono affiancati nel tempo anche artisti e attivisti internazionali come Daniel Ellsberg, Tom Morello e Lilly Wachowski. 

Cosa succede ora?

In appello un nuovo giudice potrebbe contribuire a scrivere una storia diversa, rendendo l’archivio digitale di Internet Archive ancora più grande e ancor più importante. Una considerazione non da poco soprattutto se pensiamo ai risvolti che può portare anche in altri Paesi del mondo, in cui attivisti e sostenitori dell’accesso libero sono sotto processo o agiscono clandestinamente per portare avanti progetti che riecheggiano l’eredità di Aaron Schwartz (di cui abbiamo scritto qua). La loro critica prende di mira l’idea che ricerca e conoscenza, spesso finanziate tramite fondi pubblici, debbano essere realizzate secondo standard di mercato imposti dagli editori. Col risultato – sostengono – di rendere la conoscenza un fatto elitario.

Va anche detto, nel caso specifico, che la causa legale, se portasse a un risarcimento danni, metterebbe a rischio l’esistenza stessa di Internet Archive e quindi anche il mantenimento di un altro servizio, la Wayback Machine: questa permette di vedere pagine web non più esistenti che il servizio ha archiviato effettuando una copia in date specifiche. Per capire l’importanza della macchina del tempo di Internet Archive, immaginate il sito web di un partito politico che ogni anno pubblica un documento programmatico: per chi svolge ricerca poter vedere come è cambiata la linea del partito e il modo in cui comunica ai suoi elettori è estremamente interessante.

Salvataggi Wayback Machine del sito Guerre di Rete
Salvataggi Wayback Machine del sito Guerre di Rete

La distruzione di 4 milioni di libri digitali

In alternativa invece il processo potrebbe costringere l’archivio digitale a distruggere 4 milioni di libri digitali disponibili sulla piattaforma ma coperti da copyright, o addirittura a chiudere l’intero catalogo popolato ormai da 37 milioni di testi.
“La decisione odierna del tribunale di primo grado nella causa Hachette contro Internet Archive è un duro colpo per tutte le biblioteche e le comunità che serviamo. Questa decisione ha un impatto sulle biblioteche di tutti gli Stati Uniti che si affidano al prestito digitale controllato per offrire ai loro clienti la possibilità di accedere ai libri online”, ha dichiarato, dopo la decisione del giudice, Chris Freeland, direttore del servizio Open Libraries di Internet Archive.

A fine aprile una risoluzione del Consiglio dei supervisori di San Francisco, ovvero l’ente legislativo che supervisiona la città e la contea, ha riconosciuto “il valore pubblico insostituibile delle biblioteche, comprese le biblioteche online come l’Internet Archive, e i diritti essenziali di tutte le biblioteche di possedere, preservare e prestare libri digitali e stampati ai residenti di San Francisco e al pubblico in generale”. Il Consiglio si auspica che l’archivio sia sostenuto, così come la sua missione di servizio pubblico. “Sollecitiamo la legislatura statale della California e il Congresso degli Stati Uniti a sostenere i diritti digitali per le biblioteche, compreso il prestito digitale controllato e l’opzione per le biblioteche di possedere le proprie collezioni digitali”.

L’organizzazione non profit collabora tra l’altro anche con molte biblioteche statunitensi che non riescono più a sostenere i costi, e sono costrette a chiudere i battenti. “Affidano i loro libri a noi, per portare avanti la loro missione. La maggior parte dei libri non è disponibile presso gli editori in formato digitale, e non lo sarà mai”, ha dichiarato Kahle.
Un aspetto importante soprattutto poiché “come abbiamo visto, studenti e ricercatori continuano a utilizzare questi libri per citazioni e per verificare i fatti. E penso che si possa essere tutti d’accordo sul fatto che si debba essere in grado di verificare i fatti”, ha concluso il fondatore di Internet Archive.