Immagine in evidenza: Screenshot dal video ucraino sulla resa via drone
La guerra in Ucraina è il primo conflitto su larga scala a vedere l’uso di droni da entrambe le parti, dimostrando di fatto che anche la guerra ha subito una sua evoluzione tecnologica, che questo stesso conflitto sta contribuendo ad accelerare. Nel corso di un anno, infatti, il ruolo dei droni è cambiato notevolmente: se in una prima fase sono stati utilizzati come mero strumento di sorveglianza, in un momento successivo hanno assunto il vero e proprio ruolo di armi da guerra. Ma andiamo con ordine. Nelle prime settimane dell’invasione, i russi hanno utilizzato i droni ad ala fissa Orlan-10 esclusivamente per monitorare i movimenti delle truppe sul territorio e valutare i danni all’artiglieria, preoccupando i cittadini ucraini, ma senza mai davvero svolgere un ruolo offensivo.
Più tardi è stata l’Ucraina a portare sul campo il Bayraktar TB2, sviluppato dalla turca Baykar Technologies, e in questo caso i droni hanno anche avuto un ruolo nella guerra dell’informazione. Infatti i Bayraktar erano in grado di sfruttare le lacune della difesa aerea russa per attaccare i convogli di carri armati e camion, ma erano anche un potente strumento di propaganda. I filmati che li vedevano in azione hanno trasformato questi droni in un simbolo di resistenza dell’Ucraina, tanto da ispirare una canzone e da convincere gli operatori dello zoo di Kiev a chiamare un lemure con questo stesso nome. Ma quando la Russia ha adattato le sue difese aeree, i video che mostravano i successi dei droni Bayraktar TB2 sono lentamente scomparsi, lasciando la scena allo Shahed-136, il drone suicida di fabbricazione iraniana che la Russia ha iniziato a utilizzare a settembre per minare l’infrastruttura energetica dell’Ucraina, secondo quanto riportato da Usa, Uk e Francia. Basti pensare che nello scorso mese di dicembre un attacco condotto da questi droni ha lasciato Odessa, una città da 1 milione di abitanti, senza elettricità.
Le forze armate ucraine hanno investito molto in canali online e social finalizzati a convincere i soldati russi ad arrendersi. E hanno anche rilasciato video per mostrare come farlo in un processo guidato da un drone. Secondo i materiali pubblicati, una volta raggiunto un luogo d’incontro designato, il soldato deve contattare i rappresentanti ucraini o attendere l’arrivo di un quadcopter. Con l’arrivo del drone, il russo deve stabilire e mantenere il contatto visivo con lo stesso, alzando entrambe le mani. A quel punto, l’operatore ucraino riconoscerà gli indizi di resa del soldato muovendo il drone verso l’alto e verso il basso. Una volta che il drone inizia a volare in una direzione inequivocabile, il russo deve seguirlo fino a entrare in contatto con gli ucraini nelle vicinanze.
Secondo il ministero della Difesa ucraino, dal settembre 2022 il programma avrebbe ricevuto 1,2 milioni di richieste attraverso vari canali. Ma non è chiaro quanti russi si siano arresi attraverso il programma. Lo stesso ministero in un video di novembre sosteneva che almeno un soldato russo si sia arreso in questo modo.
Ma è dove la guerra si combatte in prima linea che sta avvenendo una vera e propria evoluzione dell’uso del drone. Negli ultimi tempi, i militari ucraini hanno preso l’abitudine di modificare i droni utilizzati per il monitoraggio del nemico, trasformandoli in armi attraverso l’aggiunta di nuove sezioni stampate in 3D. Una pratica che è diventata piuttosto comune, tanto da convincere sempre più i militari che l’automazione dei droni sia la sola soluzione possibile per riuscire a gestire il conflitto. Più droni sono in volo contemporaneamente, e meno possibilità i militari hanno di difendersi senza ricorrere all’aiuto della tecnologia. E questo pone un’unica esigenza: per combattere al meglio questa guerra, entrambe le parti devono accelerare la spinta tecnologica.
Dai droni di sorveglianza alle armi (quasi) autonome
“Faremo di tutto per far sì che le tecnologie senza pilota si sviluppino ancora più velocemente. […] Più droni, più vite salvate dei nostri difensori, meno forze nemiche”, ha dichiarato il Ministro ucraino per la trasformazione digitale, Mykhailo Fedorov, in un tweet condiviso dal suo account ufficiale. Un concetto che ha ribadito anche in un’intervista a The Associated Press, quando ha esplicitamente confermato che i droni killer autonomi sono “un passo successivo logico e inevitabile” nello sviluppo delle armi. “Penso che ci sia un gran potenziale per questo nei prossimi sei mesi”, ha chiosato Fedorov. Ed effettivamente l’industria della difesa sembra davvero pronta per aprire la strada alle armi autonome. “Stiamo entrando nella nuova era della guerra macchina contro macchina“, ha dichiarato di recente Johannes Pinl, CEO e fondatore della società di difesa con sede a Monaco MARSS, che sta costruendo un sistema di difesa autonomo per colpire i droni kamikaze Shahed-136.
Convinto che il solo modo per combattere – e sconfiggere – un sistema autonomo sia quello di ricorrere ad un altro sistema autonomo, Pinl ha sviluppato con MARSS una soluzione in grado di prendere di mira i droni kamikaze in diversi modi. Anzitutto, provando a disturbare il GPS dei droni, laddove utilizzato. Il sistema può rilasciare un drone intercettore autonomo progettato per eliminare quello nemico. Parliamo quindi di una tecnologia che permetterebbe di automatizzare i conflitti macchina contro macchina, il che è notevolmente distante dall’ipotesi di lasciar scegliere ad un’intelligenza artificiale di colpire un bersaglio, anche umano. Al di là di questo, è evidente che armi con avanzati livelli di autonomia non sono una grande novità per il conflitto in corso.
L’Ucraina tra droni e sistemi anti-drone
Secondo la stessa Difesa Usa, già da qualche tempo l’Ucraina sta impiegando nel conflitto i droni Switchblade progettati dagli Stati Uniti. Piccoli esplosivi volanti in grado di schiantarsi contro un bersaglio, impiegati con il supporto dei militari umani. Questo significa che i droni sono in grado di volare in autonomia finché l’AI non rileva un bersaglio, il che riporta il sistema all’attenzione del pilota, che dovrà decidere se colpirlo o meno. L’AeroVironment, la società produttrice dei droni che ha contratti con la Darpa, ha fornito alcuni suoi ultimi modelli poche settimane fa. In questo quadro l’umano sembra avere un ruolo sempre più ridotto. “È qui, quindi, che inizi a vedere come l’intelligenza artificiale e la robotica possono iniziare a prendere la decisione se gli esseri umani vivono o muoiono”, ha dichiarato James Rogers, consulente delle Nazioni Unite sulla futura tecnologia dei droni, in un’intervista recente.
E forse proprio per questo motivo l’evoluzione delle armi autonome non è stata ancora attuata del tutto. La preoccupazione generale riguarda l’affidabilità dell’AI, che potrebbe mettere a rischio la vita dei civili colpendo un bersaglio sbagliato. Soprattutto considerando che questa viene messa in dubbio anche ora. Ingvild Bode, un’esperta dell’University of Southern Denmark, si è chiesta se gli operatori attribuissero troppa importanza al giudizio basato su algoritmi della macchina. Sotto pressione e potenzialmente sotto tiro, un operatore di droni può prendere la richiesta della macchina meno come un suggerimento e più come un’istruzione infallibile. “Ci sono molte ricerche sul condizionamento dell’automazione (automation bias)”, ha detto. “Tendiamo a fidarci dei risultati che ci vengono presentati dai sistemi assistiti da computer più del nostro giudizio”.
Ma un’intelligenza artificiale completamente autonoma sta già aiutando l’esercito ucraino a difendere il territorio. Stiamo parlando dei Fortem DroneHunter F700 di Fortem Technologies, sistemi anti-drone che combinano piccoli veicoli aerei senza pilota a radar molto sensibili, progettati per identificare i droni nemici di piccole/medie dimensioni e poi intrappolarli lanciando delle reti. Il tutto senza l’assistenza umana. Ad annunciarne l’arrivo in Ucraina lo scorso febbraio è stato lo stesso Fedorov, che ha precisato che questi sistemi sarebbero stati impiegati contro gli Shahed iraniani, utilizzati da russi per attaccare le strutture energetiche del paese.
La Russia tra droni kamikaze e carri armati robot
Dall’altro lato, la Russia ha sempre dimostrato di avere interesse nella ricerca del campo dell’intelligenza artificiale applicata alla guerra. “L’intelligenza artificiale non è solo il futuro della Russia; è il futuro dell’intera umanità – ha affermato Vladimir Putin in una dichiarazione risalente addirittura al 2017 -. Presenta enormi opportunità così come minacce difficili da prevedere ora. Chi diventa leader in questo campo dominerà il mondo. E non vorremmo affatto che qualcuno detenga un monopolio del genere. Pertanto, se diventeremo leader in questo campo condivideremo la tecnologia con il mondo intero, così come oggi condividiamo la tecnologia atomica, la tecnologia nucleare”.
Non c’è da stupirsi, quindi, che la Russia sostenga di avere a disposizione armi autonome. Il materiale promozionale per i droni kamikaze Lancet e KUB rilasciato dal gruppo Kalashnikov suggerisce che sono in grado di operare autonomamente. “ZALA LANCET è un’arma multiuso intelligente, in grado di trovare e colpire autonomamente un bersaglio – si legge chiaramente sul sito web del produttore di droni -. Il sistema d’arma è costituito da componenti di attacco di precisione, ricognizione, navigazione e moduli di comunicazione. Crea il proprio campo di navigazione e non richiede infrastrutture terrestri o marittime”. Ma si tratta, per ora, di sistemi non ancora utilizzati nell’ambito della guerra.
Quello che invece la Russia sta utilizzando davvero sul territorio ucraino è una sorta di “carro armato robot”, dispiegato nel tentativo di contrastare la minaccia dei carri armati Leopard 2 di fabbricazione tedesca, forniti all’esercito di Zelensky dall’Occidente. Più nello specifico, questo è conosciuto con il nome di Marker, ossia un veicolo di terra senza equipaggio, simile ad un carro armato, che può rilevare e colpire i nemici con missili guidati, usando sensori intelligenti e un sistema di robotica. In grado di funzionare in autonomia fino ad un massimo di 3 giorni, questo robot può “navigare” per diverse miglia senza assistenza umana, ed è in grado di sparare “con discrezione” ai bersagli. Anzi, come ha riferito Dmitry Rogozin – a capo del gruppo “Royal Wolves”, impegnato nel migliorare la tecnologia delle forze armate russe -, “Marker riceverà un’immagine elettronica appropriata e sarà in grado di rilevare e colpire automaticamente i carri armati americani e tedeschi con ATGM”. Un’arma autonoma che dovrebbe trovare il suo compimento ufficiale nel conflitto Russia-Ucraina.
In ogni caso, una cosa è evidente: entrambi i Paesi si stanno muovendo verso lo sviluppo di armi autonome, lasciando che sia ancora la persona a controllare i sistemi. Forse perché l’intelligenza artificiale non è ancora pronta del tutto per gestire un conflitto, o forse perché il timore che un sistema autonomo possa colpire un bersaglio pieno di civili è ancora elevato. Ma nonostante questo, la guerra sembra aver preso una strada senza ritorno.
Leggi anche: Guerra e armi autonome: perché è l’ora di parlarne