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Lo scorso 8 giugno Azione-Iv ha presentato a Montecitorio una proposta di legge che punta a “regolare l’accesso ai social dei minori”. A presentarla in conferenza stampa è stato il capogruppo Matteo Richetti, affiancato da Carlo Calenda, Mara Carfagna, Elena Bonetti e Giulia Pastorella. Insieme, gli esponenti del partito hanno spiegato i motivi che li hanno indotti ad avanzare una proposta modellata sulla norma approvata di recente dall’Assemblea nazionale in Francia, che ha innalzato il limite minimo di età per accedere ai social senza il consenso dei genitori dai 14 ai 15 anni. “Oggi la situazione è molto allarmante. Le famiglie sono lasciate sole in una condizione in cui di fatto c’è un far west – ha dichiarato Calenda, segretario del partito – L’81% degli adolescenti è su Instagram, l’iscrizione ai social comincia dagli 11 anni, oltre la metà dei giovani utilizza lo smartphone per più di 3 ore al giorno.(…) Una normativa ci sarebbe già: in Italia si potrebbe accedere ai social solo dai 14 anni in poi. Ma non c’è nessun tipo di controllo”.
Allo stato attuale, infatti, l’articolo 2-quinquies del D.Lgs 196/2003 (Codice della privacy) sancisce che i minori che hanno compiuto 14 anni possono esprimere il proprio consenso al trattamento dei dati personali per l’accesso ai social, mentre i minori che non hanno ancora raggiunto quest’età necessitano del consenso di chi esercita la responsabilità genitoriale – che le piattaforme devono adoperarsi per verificare. La disposizione è chiara, anche se i proponenti lamentano che non sia rispettata. Motivo per cui Azione-Iv ha presentato una proposta che prevede di:
- innalzare l’età minima per esprimere il consenso al trattamento dei dati per l’accesso ai social dai 14 ai 15 anni
- vietare l’accesso ai social ai minori di 13 anni, permettendo l’utilizzo agli utenti con età tra i 13 e i 15 anni solo – ed esclusivamente – con il consenso dei genitori
- stabilire un processo di certificazione dell’età attraverso un meccanismo di verifica dell’anagrafica degli utenti sui social
- sanzionare le piattaforme nel caso in cui non rispettino le normative, rifacendosi al Regolamento Europeo sulla protezione dei dati che all’art. 83 prevede sanzioni amministrative pecuniarie fino a 20 milioni di euro o fino al 4% del fatturato mondiale totale annuo dell’esercizio precedente, se superiore a 20 milioni di euro per le aziende che non rispettano le norme sulla protezione dei dati.
In particolare, la proposta insiste soprattutto sul processo di certificazione dell’età degli utenti, che non deve in alcun modo essere affidato alle piattaforme social, dato che finirebbero con il raccogliere un numero sempre maggiore di dati dei loro fruitori. L’obiettivo di Azione-Iv, quindi, è quello di prevedere che la verifica dell’anagrafica del minore avvenga attraverso un meccanismo di terze parti, come una carta d’identità elettronica, lo Spid o un operatore privato. “Sulla scia delle discussioni in corso nel quadro della strategia ‘Better Internet for Kids’ della Commissione Europea, suggeriamo che la verifica dell’età si appoggi in ultima istanza sull’identità elettronica contenuta nel Digital Wallet che l’Europa sta sviluppando proprio in questi mesi e di cui l’Italia è stata precursore con il sistema Spid”, riferisce Giulia Pastorella, vicepresidente di Azione, facendo chiarezza sulla proposta presentata a Montecitorio.
Social e minori: l’attuale normativa italiana
La proposta di Azione-Iv rivede l’attuale normativa in vigore, che fissa ai 14 anni l’età minima per fornire il consenso al trattamento dei dati quando ci si iscrive a un social, recependo il Regolamento UE sulla tutela dei dati personali che prevede una soglia minima per l’accesso alle piattaforme fissata ai 16 anni, con la possibilità per gli Stati membri di decidere in autonomia sulla questione, posto che non si può scendere sotto ai 13 anni. L’Italia, dal canto suo, consente ai 14enni di accedere ai social fornendo il consenso in autonomia, ma richiede il consenso dei genitori per il trattamento dei dati nel caso in cui si abbia meno di 14 anni. A tal proposito, l’articolo 8 del Gdpr prevede che le piattaforme si adoperino “in ogni modo ragionevole” per verificare che davvero i genitori abbiano prestato il proprio consenso per l’iscrizione dei minori di 13 anni, attraverso tutte le “tecnologie disponibili”.
“La proposta di legge si inserisce nella lunga serie dei provvedimenti normativi che cavalcano l’onda del fatto di cronaca. In questo modo si rischia di introdurre norme non perfettamente ponderate ma guidate dallo “stomaco” dell’emergenza”, commenta a Guerre di Rete Francesco Paolo Micozzi, avvocato e docente di informatica giuridica presso l’Università degli Studi di Perugia.
“Sembrerebbe che si confonda l’aspetto della possibilità di iscrizione ad un social network con la capacità offerta, in Italia, agli ultra quattordicenni, di prestare validamente il consenso al trattamento dei loro dati personali, qualora si tratti di iscriversi a servizi della società dell’informazione (pensiamo, ad esempio, ad un account social ma anche a un account di posta elettronica, di messaggistica istantanea…)”
L’attivazione dell’account presuppone, a tutti gli effetti, la stipulazione di un contratto (i cui termini sono unilateralmente dettati dalla piattaforma) prosegue Micozzi. Sul piano del trattamento dei dati personali, invece, il Codice della privacy richiede l’età minima di 14 anni affinché il minore possa validamente dare il consenso al trattamento dei suoi dati personali.
“Dunque il divieto di attivazione dei social agli infra-tredicenni potrebbe essere ottenuto – già oggi, senza necessità di modificare alcuna normativa – mediante semplice segnalazione al social network che un suo utente ha meno di 13 anni (e quindi ha violato le condizioni imposte dallo stesso Social network) ovvero che lo stesso utente infra-quattordicenne abbia prestato il consenso al trattamento dei suoi dati personali non essendovi legittimato: nel primo e nel secondo caso la piattaforma, come dovuto, procederà alla disattivazione dell’account”.
Un altro problema è poi quello di imporre alle piattaforme la vigilanza e la verifica dell’età dei loro utenti. “Per quanto ci si sforzi di individuare gli strumenti più idonei, l’eventualità di riversare ulteriori informazioni personali nelle tasche di chi questi dati sa ben elaborarli rappresenta un rischio non bilanciato dalle finalità che ci si propone di perseguire. Più che sui divieti, insomma, la storia insegna che è più utile puntare su consapevolezza, responsabilizzazione e guida dei ragazzi alla loro vita in rete. Individuare meccanismi che rappresentano una toppa peggiore del buco non è certo la soluzione ideale e da percorrere”, conclude Micozzi.
Una questione, questa, su cui l’Italia sta cercando di agire già da un po’ di tempo. A maggio 2022 il tavolo tecnico del ministero della Giustizia sulla tutela dei diritti dei minori nel contesto dei social network, dei servizi e dei prodotti digitali in rete, alla presenza della ministra Marta Cartabia, ha elaborato alcune proposte di intervento tese a gestire l’accesso e l’uso dei social media da parte dei minori. Tra queste la creazione di un sistema per la verifica dell’età degli utenti – basato sulla certificazione da parte di terzi – un provvedimento che intenderebbe regolamentare il fenomeno dei baby influencer, il diritto all’oblio per i contenuti pubblicati e molto altro ancora. “L’accesso alla rete è un diritto che dobbiamo garantire ai minori, fa parte della costruzione della loro identità, anche digitale. – aveva dichiarato in quell’occasione Anna Macina, sottosegretario di Stato per la giustizia – Accade però che bambini anche molto piccoli entrino in contatto con ambienti digitali potenzialmente a rischio e dei quali non riescono a percepire il pericolo. […] La normativa, non solo nel nostro Paese, è indietro perché la tecnologia corre molto veloce, dobbiamo riuscire a stare al passo”.
Il “Protecting Kids on Social Media Act” statunitense
La sicurezza dei bambini è un tema molto cavalcato negli Stati Uniti, tanto da essere uno dei motivi addotti al possibile ban di TikTok da parte del Paese. Non stupisce, quindi, che a fine aprile un gruppo bipartisan di senatori abbia proposto una legge per proteggere i minori dai presunti effetti dannosi dei social media. Il “Protecting Kids on Social Media Act” fisserebbe il limite minimo di età per l’uso di app come Facebook, Instagram e TikTok ai 13 anni, e richiederebbe il consenso dei genitori per tutti i minori tra i 13 e i 17 anni intenzionati a creare un account sulle piattaforme. Inoltre, la proposta vieterebbe alle società di social media di utilizzare gli algoritmi per raccomandare contenuti ai minori di 18 anni e punterebbe a introdurre un sistema di verifica dell’età degli utenti, gestito dal Governo e supervisionato dal Dipartimento del Commercio, che richiederebbe a bambini e genitori di caricare un documento d’identità per dimostrare la loro età effettiva.
“Istituendo queste linee guida semplici e dirette, saremo in grado di dare alla prossima generazione di bambini ciò che ogni genitore desidera per il proprio figlio, ovvero la possibilità di crescere felice e in salute”, ha affermato il senatore Brian Schatz, che ha sottoscritto la proposta di legge.
Dubbi e critiche su questi progetti di legge
Eppure, nonostante il “Protecting Kids on Social Media Act”, c’è grande scetticismo tra Democratici e Repubblicani sulla capacità e volontà del Governo di implementare una norma simile. A preoccupare di più è l’abilità di istituire un sistema di verifica dell’età: nonostante la proposta di legge non imponga alle aziende di utilizzare un sistema governativo, rappresenta comunque un’espansione significativa del ruolo dello Stato nell’ecosistema digitale. Se così fosse, questo comporterebbe una supervisione delle autorità sui social media. Una possibilità alquanto remota secondo molti politici ed esperti del settore.
“I genitori esercitano una certa sorveglianza su ciò che i loro figli guardano su Internet, su ciò che guardano in televisione – tutte queste cose sono importanti. Non sono sicuro di voler coinvolgere il governo federale”, ha commentato su Wired il senatore repubblicano di orientamento libertario Rand Paul.
Chi si oppone in modo netto a questa proposta di legge è la storica organizzazione per i diritti digitali EFF.
“Sebbene queste leggi siano spesso descritte come se fossero a protezione e sostegno dei “diritti dei genitori”, fanno l’esatto contrario: eliminano la possibilità per i genitori di decidere da soli a cosa i loro figli possono accedere online”, scrive l’organizzazione, che ha lanciato una petizione contro la legge. “Confermare l’identità di un utente online è una questione complessa. Farlo mantenendo l’anonimato dell’utente è ancora più difficile. Non esiste un sistema ovvio per farlo attualmente sui social media, né uno che non sia oneroso per un genitore. In parole povere: se doveste dimostrare chi sono i vostri genitori a una piattaforma online, come fareste? I metodi attuali – prosegue l’EFF – includono fornire un modulo di consenso che deve essere firmato dal genitore e restituito per posta, fax o scansione; richiedere al genitore di utilizzare una carta di credito; richiedere a un genitore di chiamare un numero di telefono o di fare una videoconferenza; chiedere al genitore di fornire un documento d’identità rilasciato dal governo; sottoporre il genitore a domande basate su informazioni a cui sarebbe difficile rispondere per una persona diversa; verificare la foto di una patente di guida o di un altro documento di identità e confrontarla con una foto del genitore stesso”.
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Ciascuno di questi metodi presenta problemi significativi, prosegue EFF. In primo luogo, questi sistemi non tengono necessariamente conto di un gran numero di famiglie non tradizionali. Non è chiaro se funzioneranno per i bambini con cognomi diversi da quelli dei genitori, per quelli in affidamento e per quelli i cui tutori sono altri parenti. In secondo luogo, alcuni di questi metodi possono basarsi su dispositivi che non tutte le famiglie possono avere. In terzo luogo, tutti questi metodi richiedono probabilmente ai genitori di condividere informazioni personali con terze parti o piattaforme. In questo modo, le leggi sul consenso dei genitori si scontrano con problemi di privacy simili a quelli delle leggi sulla verifica dell’età.
“Il risultato finale delle leggi che richiedono il consenso dei genitori sarebbe un numero enorme di giovani – soprattutto i più vulnerabili – che perderebbero l’accesso a queste piattaforme, solo perché non possono soddisfare i requisiti arbitrari necessari”, prosegue EFF. Inoltre, sostengono gli attivisti, ci sono molti scenari in cui un genitore potrebbe non volere che il proprio figlio acceda ai social media ma non per il suo interesse. I social media possono anche svolgere un ruolo cruciale per i giovani per accedere a risorse extra famigliari, e leggi come queste possono bloccarne completamente l’accesso.
Il modello francese
Prima ancora degli Stati Uniti e dell’Italia è stata la Francia a voler regolare l’accesso dei minori ai social. Lo scorso febbraio, infatti, il deputato Laurent Marcangeli (Horizons) aveva presentato una proposta di legge che fissava ai 15 anni l’età minima per la creazione di un account su piattaforme come Facebook, Instagram e TikTok. Al di sotto dei 15 anni deve essere richiesto il consenso dei genitori per l’accesso ai social. “Nel 2021, il 63% dei minori di 13 anni aveva un account su almeno un social network… Si tratta di una violazione delle condizioni generali di utilizzo delle principali piattaforme interessate, secondo le quali la registrazione è consentita a partire dai 13 anni”, ha dichiarato Marcangeli rispetto alla proposta avanzata alla National Asemblée.
Secondo la Commission nationale de l’informatique et des libertés, in Francia oltre la metà dei minori tra i 10 e i 14 anni utilizza un’app come Facebook, Instagram e TikTok. Ma la proposta di Marcangeli elenca anche una serie di presunti pericoli da cui tenere lontani i bambini: pornografia, cyberbullismo, standard di bellezza irraggiungibili e “modi di attirare l’attenzione che creano dipendenza” sono solo alcuni di quelli elenacati. “Vogliamo provare a regolamentare un mondo che non ha regole”, ha commentato il deputato, rilanciando un vecchio pregiudizio per cui su internet non ci sarebbero regole.
“Il disegno di legge non menziona la parte tecnica della verifica dell’età”, commentava mesi fa la testata tech BFMTV, sottolineando come la sua applicazione fosse praticamente complicata. “Se si applica un sistema simile, la soluzione potrebbe essere di affidarsi a “una terza parte fidata”. La verifica dell’età avverrebbe tramite una società privata cui fornire documenti. Tuttavia la Commissione nazionale per l’informatica e le libertà (CNIL) ha già espresso preoccupazione nel 2022 su un tale sistema e sui database gestiti da queste società”.
La proposta di legge (approvata a fine giugno) presuppone un rafforzamento del ruolo dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni Audiovisive ed Elettroniche (Arcom), che dovrebbe avere il compito di proporre un “repository” ai fornitori di servizi e ai social network per poter verificare l’età.
Ma questa non è la sola azione mossa dai politici francesi al riguardo. Di recente i parlamentari hanno presentato un disegno di legge per fermare il fenomeno dello sharenting – un mix di “sharing” e “parenting” – ossia la condivisione da parte degli stessi genitori di foto dei propri figli sui social media. “Un bambino di 13 anni ha una media di 1.300 immagini di se stesso che circolano su Internet”, ha commentato a tal proposito Bruno Studer, uno dei deputati che ha sottoscritto la proposta di legge – rilanciando un vecchio numero citato per la prima volta in un report governativo inglese e derivante da una intervista (survey) condotta nel 2018 da una società privata su un campione di duemila genitori britannici.